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Metafisica e Filosofia delle Arti- DIAPOREIN

Presentazione

Diaporein è il nome di un nuovo Centro di Ricerca del San Raffaele; un centro interdisciplinare di Metafisica e Filosofia delle arti, che vorrebbe caratterizzarsi per uno stile ben preciso, esplicitamente ereditato da una tradizione che, a partire da Socrate, ci avrebbe condotti sino alla radicale disposizione critica fatta propria, nel secolo Ventesimo, da Derrida; uno stile che ancor oggi ha secondo noi il compito di testimoniare una fedeltà che non significa affatto resistenza al mutamento. Ma di quest’ultimo deve piuttosto rinvenire la radice nel cuore stesso del proprio codice genetico. Anche perché la grande filosofia ha sempre saputo rapportarsi con grande libertà ai punti critici della propria dinamica speculativa – in relazione ai quali il logos si sarebbe di volta in volta trovato a fare i conti con aporie strutturali le quali, lungi dal reclamare una qualche soluzione, magari forzata e poco convincente, hanno sempre consentito uno sviluppo e un approfondimento tali da farcene assaporare la reale ed infinita potenza – ma potremmo anche dire: la costitutiva irrisolvibilità.

Perciò, la filosofia che ha saputo pensare “in grande” ha sempre prediletto lo sviluppo delle aporie (diaporein, appunto), piuttosto che il loro risolvimento.

Le principali questioni

D’altra parte, pressoché tutte le principali questioni del nostro tempo sembrano destinate a riportare a galla le più antiche e tormentate dispute filosofiche intorno alle quali si sarebbe giocato il destino di un’intera civiltà. Anche perché, come ha già detto qualcuno, tutta la filosofia è forse una glossa a Platone; e con le inquietudini informanti di sé la grande avventura platonica dobbiamo continuamente tornare a fare i conti. Così come è necessario tornare a fare i conti con Aristotele, con Plotino, con i grandi Padri della Chiesa, con la raffinatezza concettuale degli Scolastici, con Descartes, con Spinoza e Leibniz, con Kant, con Hegel… insomma con tutti coloro che hanno reso grande e ormai globale il nostro pur acciaccato Occidente. Così come è necessario tornare a quegli stessi grandi inizi per capire qualcosa delle spaesanti questioni poste davanti agli occhi di tutti dall’arte contemporanea. Ché, anche le non semplici vicende della riflessione sulle arti, possono essere comprese solo all’interno di una prospettiva autenticamente metafisica; come quella che consentì già a Platone di riconoscere proprio nella ‘bellezza’ la più potente testimonianza di una verità non altrimenti esperibile, e di concepire il bene, il buono e il bello all’interno di un unico plesso semantico.

D’altro canto, anche per Nietzsche e per Heidegger, così come per Adorno e Derrida, pensare metafisicamente significa sì porsi al cospetto della tremenda e veneranda questione dell’essere, cioè della sua identità e della sua differenza, ma significa anche riconoscere che una delle sue forme di manifestazione più radicali è propriamente quella “artistica”.

Perciò le questioni della metafisica non appartengono affatto ad un tempo perduto di cui si possa avere, per ben che vada, nostalgia. No, esse ci determinano ancor oggi. Determinano cioè ogni nostra azione e ogni convincimento morale. Così come ogni scelta estetica. Ciò di cui ne va, in tutti questi casi, è sempre e comunque una precisa opzione ontologico-metafisica, che agisce (anche se spesso non consaputa) in ogni forma del fare umano.

Certo, qualcuno ha anche ritenuto di dover qualificare il nostro presente come epoca della “fine della storia”, sintetizzando in questo slogan non tanto un dato di fatto sorto dalle rovine novecentesche, quanto una strategia e un’interpretazione che potremmo riassumere nel programma di “farla finita con la storia”. Ma anche in questo caso tutto dipende da cosa si intende per “storia” e per “fine”. Ancora una volta dunque, decisiva si mostra la prospettiva metafisica a partire dalla quale si interpreta un’epoca, un destino o una serie di fatti storici. Se i popoli, le società e gli individui si convincono che “questo” modo di vivere è “il” modo di vivere, ciò dipende da cosa si intende per “modo di vivere” e per “vita”, innanzitutto. Perciò, una delle convinzioni portanti che anima la ricerca e la fondazione stessa del Centro è che la riflessione sui fondamenti metafisici di ogni dire e di ogni fare sia assolutamente decisiva; e che, solo a partire da una seria e rigorosa riflessione intorno alle grandi questioni dell’ontologia, sia possibile dire qualcosa di sensato anche intorno al convincimento dominante, almeno nel nostro tempo, secondo cui la relatività delle posizioni assunte nel corso del tempo, il senso dei loro conflitti, e quindi la loro intrinseca modificabilità, costituirebbe il campo d’elezione per la formazione di un autentico pensiero critico.

Certo, parlare di metafisica non significa rinunciare ad una concezione drammatica e dibattimentale della verità, concepita come risultato di un processo confutatorio e polivoco, apparso per la prima volta in Grecia, al tempo dei sofisti e dei poeti tragici, ma significa sforzarsi di rinvenire le radici e le condizioni di possibilità di questo polemos originario. Anche quello metafisico è infatti un concetto critico e nasce con l’idea stessa di verità, la quale non va certo confusa con i suoi requisiti funzionali, né con il mero culto dei fatti. Ma fa tutt’unto con l’aristotelica formulazione del principio di non contraddizione, e con le aporie ad esso intrinsecamente connesse, le quali fanno, delle contrastate vicende vissute dalla verità, l’espressione di un dire che è sempre stato anche un disdire; un dire che è sempre stato consapevole degli ingorghi concettuali connessi ad ogni prospettiva autenticamente metafisica. Lo sapeva bene Socrate, che non di rado s’è attardato, con i suoi interlocutori, a sviluppare aporie e circoli viziosi, concentrandosi a mostrare la grandezza e la difficoltà delle questioni di volta in volta affrontate, più che a cercare facili e affrettate soluzioni. E trasformando lo strumento in atteggiamento, i fatti in argomenti, e l’argomentazione in liberazione. Allora la verità è sì sempre critica della non verità, ma anche presa di coscienza del fatto che dalla non-verità è essa stessa agita nell’intimo, e che il gioco delle parti è un gioco forse senza fine che, proprio per questo, può renderci capaci si smascherare le diverse strategie del “potere”. La filosofia è critica, dunque; critica, innanzitutto, delle pretese avanzate dalla stessa filosofia; critica mossa da un’istanza di verità cui non si può rinunciare, anche là dove si prenda atto della sua aporeticità. Ma anche critica delle improprie pretese di verità; e, più in generale, critica delle opinioni, delle doxae, critica volta comunque al perseguimento di una consapevolezza che riguarda nozioni e concetti solo apparentemente astratti, ma che in realtà parlano e vengono testimoniati da qualsivoglia produzione umana. E in primis da quelle artistiche; là dove il fare ha sempre avanzato pretese di esemplarità particolarmente impegnative.

Là dove il fare umano s’è cioè sempre ritenuto particolarmente prossimo a quella libertà che di norma viene negata, favorendo la creazione di spazi interstiziali di autonomia sempre più ampi e differenziati, in grado di dispiegare per intero la policromia delle possibilità della nostra esperienza.
Anche se i programmi educativi delle nostre scuole e delle università, i loro stessi statuti, dichiarano spesso la loro vocazione formativa al senso critico sembra che, per le ragioni più diverse, la critica non goda né di buona stampa, né di buona salute. Perciò è convinzione dei fondatori del Centro che, di contro a questa anestesia del senso critico, esso debba, al contrario, essere risvegliato e tenuto desto e che in questa educazione come sollecitazione alla critica consista, anzi, la vocazione stessa della filosofia, la sua autentica professione. E che, per giungere a tale risultato, sia necessario tornare di continuo alle questioni di fondo (che un tempo venivano considerate appannaggio della “filosofia prima”), forse complesse e faticose da affrontare, ma quanto mai necessarie alla formazione di un rigoroso habitus filosofico-speculativo.
Ecco pertanto la motivazione fondativa del Centro di Ricerca di Metafisica e Filosofia delle Arti (DIAPOREIN); un Centro concepito come spazio per lo sviluppo di quell’attività filosofica che appare indispensabile non solo per l’esercizio di cittadinanza in uno stato democratico, ma ancor più per il ricercatore e per lo scienziato, e infine per la stessa creatività degli individui che va liberata, affinché possa costruire il futuro di un’umanità davvero conforme alla propria natura costitutivamente “pensante”.

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