Articolo a firma del Prof. Andrea Tagliapietra, Ordinario di Storia della Filosofia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e Direttore di ICONE – Centro Europeo di Ricerca di Storia e Teoria dell’Immagine
Sulla soglia dell’anno i giornali e le TV, di solito, interrogano quanto c’è di meno scientifico, ovvero gli astrologi. Forse perché “gli astri“, come scriveva Roland Barthes, “non postulano mai un rovesciamento dell’ordine“, ma “influenzano, settimana per settimana, rispettosi dello statuto sociale e degli orari padronali“. I pronostici di Capodanno sono, in realtà, aspettative tranquillizzanti, rassicurazioni di cui abbiamo bisogno per esorcizzare la paura che ci assale di fronte al pensiero dell’assolutamente nuovo, dell’incontrollabile, dell’imprevedibile. Eppure, a partire dalla figurata malia degli oroscopi e del ciclo dello zodiaco fino alla presuntuosa scientificità delle previsioni degli analisti di borsa, fingiamo che sia possibile chiudere il tempo in un cerchio, con un inizio e una fine, alla stregua delle società tradizionali che vivono i loro capodanni – spesso in coincidenza con gli equinozi, come il Rosh haShana ebraico, a settembre, e il Nowruz persiano, in marzo – scanditi dal moto apparente del sole e dalla durata della sua luce.
Altre culture, come quella cinese, e il calendario islamico, combinano all’anno solare la scansione lunare dei mesi, complicandone il calcolo (il monastico computus dei giorni da cui deriva la parola computer) e, quindi la corrispondenza con le date di quello occidentale e ora globale, basato sul calendario gregoriano (e quindi sulla scansione liturgica cristiana che lo accosta al Natale). Tuttavia nella società secolare in cui viviamo il tempo è una linea retta che si inoltra nel futuro. Ecco che la soglia dell’anno diventa la vertiginosa apertura sul nuovo e sull’ignoto, sulla libertà del sapere e dell’essere diversamente.