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Controfigure

Controfigure. Cellule, tessuti e le loro imitazioni

“Controfigure” è la mostra fotografica ideata e realizzata da Università Vita-Salute San Raffaele e IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.

La mostra si basa su una serie di immagini in alta definizione (colorate e acquisite con diverse tecniche di microscopia proprio nei laboratori del San Raffaele) di organelli intracellulari, cellule e tessuti, dalla forma o dall’aspetto particolare.

Ad ogni immagine biologica è associata una fotografia morfologicamente simile (o un oggetto esposto come una scultura), riconducibile alla realtà quotidiana: tale somiglianza non è solo a livello estetico, ma anche concettuale e funzionale.

“Controfigure” è un viaggio tra coloratissime immagini di microscopia e oggetti quotidiani, per scoprire che nel nostro universo nessuna idea (specie se particolarmente ingegnosa!) viene sprecata, che forma e funzione sono profondamente legate tra loro.

Ammortizzare gli urti

Nell'immagine a sinistra: Tessuto adiposo bianco. Ematossilina-Eosina. Fotocamera digitale, 40x. Claudio Doglioni, Università Vita-Salute San Raffaele

Il pluriball è uno dei materiali da imballaggio più usati al mondo: le bolle d’aria intrappolate nel foglio di polietilene lo rendono in grado di preservare dagli urti gli oggetti più fragili.

Anche nel nostro corpo è presente un materiale ammortizzante: si tratta del tessuto adiposo bianco, distribuito in tutto l’organismo e in particolare negli strati profondi della pelle. Oltre a essere un importante serbatoio energetico, il tessuto adiposo bianco svolge la funzione di isolante termico e protegge gli organi dalle sollecitazioni meccaniche.

Proprio come il pluriball, questo tessuto ha un aspetto a bolle: le cellule che lo compongono, dette adipociti, sono piene di lipidi (grassi) che si accumulano come piccole gocce e gradualmente si fondono in un’unica goccia voluminosa, che arriva a occupare tutto lo spazio a disposizione. Ecco perché al microscopio le componenti della cellula adiposa risultano schiacciate lungo il suo perimetro, mentre la goccia lipidica (che viene sciolta dai reagenti impiegati nella colorazione) appare come uno spazio vuoto.

Vasche iodate

Nell'immagine a sinistra: Tiroide. Ematossilina-Eosina. Fotocamera digitale, 40x. Claudio Doglioni, Università Vita-Salute San Raffaele

Le saline sono impianti che estraggono il sale dall’acqua di mare attraverso un processo passivo: l’acqua viene raccolta dentro grandi bacini artificiali e lasciata evaporare naturalmente sotto il sole. Il sale che si deposita per concentrazione sul fondo dei bacini contiene iodio, un elemento chimico fondamentale per il funzionamento della tiroide.

In effetti, i follicoli della tiroide assomigliano proprio a delle saline. Ciascun follicolo è formato da uno strato di cellule secretorie che circondano un’area di tessuto chiamata colloide. Come i bacini delle saline, nella colloide viene immagazzinato lo iodio, indispensabile per la sintesi degli ormoni tiroidei, che regolano il metabolismo e lo sviluppo di molti tessuti del nostro corpo.

La carenza di iodio, un problema sanitario in molti paesi in via di sviluppo, provoca infatti un ingrossamento della tiroide e danni a cute, capelli, cuore e funzioni cognitive. Ecco perché assumere sale iodato – introdotto in commercio proprio per ridurre il rischio di ipotiroidismo – è così importante.

Curiosità: un colorante molto richiesto

Nel mondo antico il blu era considerato simbolo di autorità ed eleganza. La materia prima naturale con cui preparare tinture blu era una pietra preziosa, il lapislazzulo, che veniva dal lontano Afghanistan. Nel 1500 si scoprì che gli indigeni del Nuovo Mondo tingevano i loro abiti di un intenso colore blu utilizzando gli estratti di un albero originario dell’America Centrale: l’Haematoxylon campechianum.

La Spagna, che aveva stabilito numerose colonie nel territorio, dominava il commercio di questo albero ed era spesso bersaglio dei galeoni di pirati inglesi. Dai preziosi tronchi si può infatti estrarre l’ematossilina, una sostanza incolore che si ossida e diventa emateina, di colore viola scuro, tendente al blu. L’uso dell’ematossilina come colorante per vernici, lacche e inchiostri è resistito a lungo, anche dopo l’introduzione dei coloranti artificiali nel 1800, ma il suo impiego principale oggi è in microscopia.

Usata in combinazione con l’eosina, permette di evidenziare diverse componenti della cellula: l’ematossilina si lega a DNA e RNA, presenti a livello del nucleo, colorandoli di blu-viola, mentre l’eosina si lega alle proteine nel citoplasma, che appaiono rosa.

Una rete di trasporti

Nell'immagine a sinistra: Linfonodo. Immunofluorescenza. Microscopio confocale, 20x. Mirela Kuka e Matteo Iannacone, IRCCS Ospedale San Raffaele

Una parte importante della risposta immunitaria contro virus e microrganismi estranei si organizza all’interno di stazioni di filtraggio: i linfonodi. In una persona adulta ce ne sono dai 600 agli 800, distribuiti in vari distretti del corpo.

Ciascuno di questi piccoli organi contiene una rete di canali che raccoglie il liquido linfatico proveniente dai tessuti. Se la linfa porta con sé agenti pericolosi – virus, batteri o cellule tumorali – i linfociti B che si trovano nei linfonodi producono anticorpi per combatterli, e lo stesso sistema di condotti che riceve la linfa viene utilizzato per rilasciare gli anticorpi nel sangue.

A proposito di linfa, avete notato che i canali del linfonodo assomigliano ad alberi in fiore? Anche le piante possiedono un sistema vascolare specializzato: attraverso questo sistema la linfa viene condotta dalle radici a ciascuna foglia, dove avviene la fotosintesi, e gli zuccheri prodotti nel processo vengono ridistribuiti a tutte le cellule della pianta.

Isolanti elettrici

Nell'immagine a sinistra: Nervo sciatico. Acetato di uranile e citrato di piombo. Microscopio elettronico a trasmissione, 13.500x. Cinzia Ferri e Mariacarla Panzeri, IRCCS Ospedale San Raffaele

Sapevate che i neuroni rappresentano solo il 10% del nostro sistema nervoso? Il restante 90% è costituito dalle cellule gliali (dal latino glia, cioè “colla”), che svolgono funzioni di supporto strutturale e metabolico. Tra queste c’è la produzione di mielina, una sostanza fondamentale per lo scambio dei segnali nervosi tra neuroni.

Questi segnali devono infatti coprire distanze piuttosto lunghe in pochissimo tempo. Ad esempio, il nervo sciatico parte dalla base del midollo spinale e raggiunge la punta del piede: oltre un metro di distanza! Per assicurarsi che l’impulso arrivi a destinazione rapidamente e senza disperdersi lungo il percorso, la natura ha inventato un sistema ingegnoso: ricoprire le fibre nervose con una guaina isolante, chiamata appunto mielina.

Un metodo talmente efficiente che gli esseri umani lo copiano – senza saperlo – da oltre un secolo: i cavi elettrici sono costituiti da un conduttore metallico ricoperto di materiale isolante, in genere gomma, polietilene o PVC.

Curiosità: cellule placcate in oro

Nel 1924 un giovane fisico, Louis de Broglie, ebbe una grande intuizione: visto che le onde luminose si comportano anche come fasci di particelle (i fotoni), allora le particelle devono comportarsi e poter essere descritte come onde.

Se ciò è vero, illuminare un oggetto non è più l’unico modo per renderlo visibile. È possibile farlo anche colpendolo con un fascio di particelle dotate di massa, come gli elettroni. Una strategia con un vantaggio importante: l’onda ad alta frequenza degli elettroni è in grado di mettere a fuoco oggetti di dimensioni nanometriche!

I moderni microscopi elettronici – come quelli utilizzati al San Raffaele di Milano – sono strumenti di altissimo potere risolutivo, in grado di distinguere le strutture interne di una cellula con straordinario dettaglio.

Per proteggere il campione biologico dagli urti energetici degli elettroni – che rischiano di surriscaldarlo e danneggiarlo – e per migliorare i contrasti delle immagini, i ricercatori ricoprono il tessuto con uno strato di metallo. Il più utilizzato? Non proprio il più economico: l’oro.

Veri e propri… ossi duri

Nell'immagine a sinistra: Tessuto osseo compatto - osteone. Impregnazione argentica (Gomori). Microscopio ottico, 20x. Jose Luis Calvo, ShutterStock royalty free

Sostenere il peso di tutto il corpo, resistere a pressioni, tensioni, trazioni… quanta forza nelle nostre ossa! Grazie alla loro speciale composizione minerale (che include cristalli di fosfato di calcio) e organica (con fibre di collagene), le ossa sono insieme resistenti e flessibili.

L’unità di base dell’osso compatto si chiama osteone: ciascun osteone è formato da colonne di lamelle concentriche simili agli anelli di accrescimento di un albero, con un vaso sanguigno al centro. La struttura – ideale per resistere a forze compressive – è in continua evoluzione: diverse classi di cellule lavorano in equilibrio per assorbire osso vecchio e depositarne di nuovo, rinnovandone ogni anno circa il 10%!

È grazie a questo dinamismo se le nostre ossa crescono durante la giovinezza, si riparano in caso di frattura, diventano più robuste a fronte di sforzi fisici come il sollevamento pesi o al contrario si assottigliano in assenza di gravità, come accade agli astronauti nella stazione internazionale.

Trappole extracellulari

Nell'immagine a sinistra: Neutrofili. Immunofluorescenza. Microscopio confocale, 63x. Norma Maugeri e Cesare Covino, IRCCS Ospedale San Raffaele

Uno degli stratagemmi con cui il sistema immunitario si difende dagli invasori consiste in trappole appiccicose di filamenti di DNA, proteine ed enzimi. Come una ragnatela, la fitta rete di filamenti intrappola virus e batteri e li neutralizza.

A rilasciare verso l’esterno queste trappole sono i neutrofili, cellule che pattugliano costantemente il nostro organismo circolando nel sangue e che intervengono nelle fasi iniziali di un’infezione. Ecco perché sono chiamate “trappole extracellulari dei neutrofili”, in inglese NETs, che significa appunto “reti”.

Questa strategia corrisponde ad una vera e propria operazione suicida, messa in atto dai neutrofili solo in situazioni di emergenza, quando i patogeni sono troppi per essere fagocitati. Il rilascio verso l’esterno di materiale normalmente nascosto nel nucleo costituisce infatti un segnale d’allarme per le altre cellule del sistema immunitario, che accorrono sul posto e scatenano una reazione infiammatoria potenzialmente pericolosa.

Un arcipelago microscopico

Nell'immagine a sinistra: Pancreas. Immunoistochimica. Fotocamera digitale, 100x. Claudio Doglioni, Università Vita-Salute San Raffaele

Sapevate che nel pancreas ci sono più isole di quante se ne potrebbero contare in un arcipelago dell’Oceano Pacifico? Si chiamano isole di Langerhans, sono microscopiche (il loro diametro varia da 0,3 a 0,7 mm) e ogni pancreas umano ne contiene circa un milione!

Le isole pancreatiche sono “abitate” da differenti tipi di cellule, essenziali per controllare il metabolismo di tutto l’organismo. Le più note ai ricercatori sono le cellule β, uniche cellule del corpo in grado di produrre insulina, l’ormone che regola i livelli di zucchero nel sangue. Nelle persone che hanno il diabete di tipo 1 le isole di Langerhans, distrutte dal sistema immunitario, non sono più in grado di fornire insulina all’organismo.

Oltre alle cellule β, su queste isole si trovano altre popolazioni di cellule, chiamate α, δ, F, ε, che secernono sostanze necessarie a regolare digestione e assorbimento dei nutrienti, ma anche altre attività tuttora sconosciute a chi studia questo curioso angolo di mondo.

Vincoli geometrici

Nell'immagine a sinistra: Duodeno. Ematossilina-Eosina. Fotocamera digitale, 100x. Claudio Doglioni, Università Vita-Salute San Raffaele

C’è una regola geometrica che rende più difficile la vita sul pianeta: quando si ingrandisce un oggetto tridimensionale, la sua superficie aumenta meno velocemente del suo volume.

Questo significa che, in proporzione, organismi più grandi - come un elefante o un essere umano - hanno meno superficie a contatto con l’esterno di organismi più piccoli, come una formica. Un bel problema, visto che lo scambio di calore, nutrienti e ossigeno con l’ambiente circostante avviene proprio attraverso queste superfici.

Per risolverlo, negli organismi complessi la forma di molti organi massimizza le superfici a disposizione. Ne è un esempio l’intestino, che ospita milioni di villi: protuberanze lunghe meno di un millimetro e spesse quanto un singolo strato di cellule, grazie alle quali la prima parte dell’intestino (lunga 3-4 metri) dispone della stessa superficie di un campo da tennis regolamentare!

Soluzioni simili si osservano ovunque in natura, come nelle forme tentacolari degli anemoni di mare, che assorbono nutrienti dall’acqua circostante.

Cellule come città

Nell'immagine a sinistra: Coltura di neuroni e astrociti in vitro. Immunofluorescenza. Microscopio confocale, 63x. Cesare Covino, IRCCS Ospedale San Raffaele

Forse non ci avete mai fatto caso, ma i neuroni assomigliano molto a città viste dall’alto, come dal finestrino di un aereo al decollo. Il centro urbano corrisponde al corpo cellulare, mentre le strade che si ramificano verso la periferia e collegano la città con i centri limitrofi ricordano l’assone e i dendriti (prolungamenti che permettono al neurone di ricevere e inviare segnali alle altre cellule nervose).

La somiglianza tra reti così diverse come quelle neurali e stradali non deve stupirci. Entrambe possono essere descritte con pochi parametri che non dipendono dalla natura della rete ma dalla sua struttura matematica, come il numero di nodi o la frequenza delle connessioni. Entrambe sono inoltre frutto di processi locali del tutto casuali – la costruzione di una strada per collegare un nuovo quartiere, l’allungamento di un dendrite verso la cellula vicina – che producono ordine e complessità su larga scala.

È questo ordine che ci permette, nel primo caso, di scrivere e leggere queste righe, nel secondo di organizzare spazi e risorse da dividere con altre migliaia – o milioni – di persone.

Uno scheletro dinamico

Nell'immagine a sinistra: Citoscheletro di fibroblasti. Immunofluorescenza. Microscopio confocale, 60x. Kristyna Sala e Ivan de Curtis, IRCCS Ospedale San Raffaele

La membrana come tessuto e un’impalcatura come sostegno: è tutto quello che serve per definire la cellula una vera e propria tensostruttura.

L’impalcatura della cellula è il citoscheletro (letteralmente “lo scheletro cellulare”) costituito da tre elementi fondamentali: microtubuli, microfilamenti e filamenti intermedi.

L’organizzazione dei diversi filamenti del citoscheletro è un capolavoro architettonico: i microtubuli spingono la membrana verso l’esterno, mentre microfilamenti e filamenti intermedi la tirano verso l’interno, in un continuo e perfetto equilibrio dinamico.

Questa organizzazione flessibile – che risponde agli stimoli esterni e interni – consente lo svolgimento di numerose funzioni essenziali per la cellula: il citoscheletro fa da supporto meccanico e strutturale per la membrana e gli organelli, consente il trasporto intracellulare di materiali e permette alla cellula di aderire alle cellule vicine, di contrarsi e di muoversi.

Curiosità: meduse da Nobel

Nelle acque dell’Oceano Pacifico vive la medusa Aequorea victoria: è larga pochi centimetri, carnivora e quasi del tutto trasparente. Eppure nelle profondità oceaniche non passa inosservata: il profilo esterno del suo ombrello emette luce verde fluorescente, grazie alla presenza di una proteina speciale chiamata GFP, Green Fluorescent Protein.

La sua scoperta ha rivoluzionato il mondo della microscopia, tanto da valere il premio Nobel per la Chimica 2018: date le sue piccole dimensioni, infatti, la GFP si lega facilmente ad altre strutture cellulari senza interferire con le loro attività, e quando colpita con una luce ultravioletta diventa fluorescente, permettendo ai ricercatori di vedere al microscopio le strutture a cui si è legata, altrimenti indistinguibili dal resto della cellula.

Negli anni ne sono state create versioni diverse, in grado di emettere luce fluorescente di vari colori: una ricchissima tavolozza che consente di colorare (e vedere) parti diverse delle cellule.