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Interventi al cervello: il robot chirurgico che imita le vespe

07 October 2016
Research

Intervista al Professor Falini, responsabile UniSR del Progetto internazionale di ricerca

Un team di ricercatori di istituti internazionali, tra cui l’Università Vita-Salute San Raffaele, il Politecnico di Milano, l’Università degli Studi di Milano e l’Imperial College di Londra hanno ricevuto un finanziamento dalla Commissione Europea nell’ambito del programma Horizon 2020 per sviluppare e sperimentare una sonda robotica flessibile e controllabile di nuova generazione, che permetterà di raggiungere e curare regioni profonde del cervello in tutta sicurezza per il paziente.

Responsabile del progetto per l’Università Vita-Salute San Raffaele è il Professor Andrea Falini, Ordinario di Neuroradiologia presso il nostro Ateneo e Primario di Neuroradiologia presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele.

Domanda: Professor Falini, ci spiega in cosa consiste questo progetto?

Risposta: Eden2020 (Enhanced Delivery Ecosystem for Neurosurgery in 2020) è un progetto europeo nell’ambito della robotica che nasce dall’Imperial College di Londra. Il professor Rodriguez y Baena,  ingegnere leader del Mechatronics in Medicine Laboratory dell’Imperial College con il suo team ha sviluppato diverse tecnologie. In questo caso stiamo parlando di un catetere particolarmente innovativo per la navigazione all’interno del cervello, che all’interno di EDEN2020 verrà montato su un braccio robotico in grado di guidare il catetere stesso nel suo viaggio nel cervello, fornito da uno dei partner del progetto, Renishaw plc. Il progetto EDEN2020, che avrà durata di quattro anni, è mirato sul catetere e lo sviluppo di un novo sistema di navigazione intraoperatoria.

D: Com’è fatto questo catetere innovativo?

R: Rispetto a quelli che si utilizzano normalmente per la navigazione nel cervello, che sono rigidi, questo catetere è flessibile. È mutuato dalla natura, perché replica l’ovopositore di certi tipi di insetti, come quello della vespa parassita del legno, che ne sfrutta la flessibilità per deporre le uova.

Rodriguez y Baena ed il suo team hanno copiato questo sistema, per cui il catetere è composto di diverse parti che vanno avanti in modo differenziale l’una dall’altra permettendogli di indirizzarsi nello spazio, raggiungendo anche traiettorie molto strette all’interno di un tessuto molle. Mandando avanti componenti diverse, questo tubicino riesce a girare attorno ad un ostacolo: questo è molto interessante, perché nel cervello umano l’ostacolo può essere rappresentato da un nucleo cerebrale oppure un vaso sanguigno che bisogna evitare di toccare. Al momento le dimensioni del catetere sono davvero minuscole, circa 2.5 mm di diametro.

D: Come potrà essere guidato dal neurochirurgo?

R: Sul catetere sono montati dei sensori che permettono di dire dove sta andando, e dall’esterno dà un feedback del punto esatto in cui si trova. Il neurochirurgo sarà in grado di capire verso quale direzione si sta muovendo il catetere, se sta raggiungendo il target, e attraverso uno speciale joystick potrà “navigare” nel cervello del paziente, mentre il tutto viene riprodotto su uno schermo che permette di monitorare visivamente l’avanzamento della sonda robotica.

D: Quali applicazioni cliniche potrà avere?

R: L’idea è quella di passare all’utilizzo in vivo per trattare localmente le lesioni tumorali. Ad oggi, per cercare di fermare/ridurre la crescita di un tumore cerebrale si utilizza la via vascolare classica: il problema è che si somministrano farmaci ad alto dosaggio con conseguente tossicità, inoltre il farmaco potrebbe essere impedito ad arrivare lì dove serve a causa della barriera ematoencefalica [struttura che regola selettivamente il passaggio sanguigno di sostanze chimiche da e verso il cervello, NdR]. Invece, con i sistemi di terapia locale è possibile arrivare direttamente all’interno delle lesioni: avere un catetere che si può muovere in maniera flessibile nel cervello significa poter raggiungere direttamente la lesione, ma anche traguardare le varie componenti della lesione per far arrivare il farmaco lì dov’è necessario. Questo catetere innovativo, infatti, è cavo all’intero: vuol dire che lo si fa arrivare in un punto interessato, e attraverso lo stesso catetere si può rilasciare un farmaco, con possibilità di modificarne il regime nel corso del tempo.

D: Qual è il ruolo dell’Università San Raffaele in questo progetto?

R: In questo studio noi utilizzeremo le tecniche diagnostiche più avanzate a nostra disposizione nell’ambito delle neuroimmagini  per capire il più possibile a livello ultrastrutturale com’è fatta la sostanza bianca nelle varie parti del cervello e in particolare intorno a un tumore, e come un fluido che noi iniettiamo viaggia all’interno di essa per rimanere localizzato dentro il tumore stesso. Quello che cercheremo di fornire agli altri collaboratori del progetto sarà un’idea di come sono posizionati i fasci, quali sono le vie preferenziali da seguire all’interno della sostanza bianca, i punti in cui posizionarsi per far sì che il fluido non diffonda indietro verso il catetere o in regioni dove il tumore non c’è e, nella parte finale del progetto, capiremo dove e come si diffonde una sostanza quand’è iniettata nel cervello, sia nel tumore sia nella sostanza bianca adiacente al tumore, in stretta collaborazione con il Dipartimento di Meccanica dell’Imperial College.

D: Quali tipi di tumore possono beneficiare maggiormente di questo strumento?

R: I tumori gliali sicuramente, perché sono i più importanti e i più difficili da trattare. Tra i diversi tumori che si possono sviluppare all’interno della scatola cranica, quelli che originano dalle meningi e quelli extra cerebrali si rimuovono facilmente, così come quelli che originano dai nervi. Invece, i tumori che si sviluppano internamente al cervello sono più complicati, e tra questi i più frequenti sono proprio i gliomi, tumori aggressivi che spesso colpiscono gli uomini dai 40 anni in su. Allo stato attuale per questi tumori le terapie sono molto poco efficaci, e se si asporta un glioblastoma chirurgicamente comunque recidiva molto spesso. Uno strumento di questo tipo consentirà invece di raggiungere regioni profonde del cervello in totale sicurezza per il paziente, e di veicolare in maniera precisa il farmaco chemioterapico solo nella zona in cui serve.

D: Qualche previsione per quando lo si potrà utilizzare in vivo?

R: Questo studio dura quattro anni ed è appena partito: in teoria il passaggio in vivo, non essendo un farmaco ma un device, uno strumento, dovrebbe essere più veloce e più semplice.

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