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Covid, qualità dell’aria e climate change

23 July 2020
Research

La dr.ssa Francesca Pongiglione della Facoltà di Filosofia, ci aiuta a riflettere sull’impatto ambientale che il lockdown ha avuto e comprendere se dai cambiamenti climatici rilevati “si possa trarre qualcosa di utile per il modo in cui riprogrammare la vita a emergenza sanitaria conclusa”

Un miglioramento dell'aria nel periodo di lockdown

“Nelle settimane in cui l’Italia si è fermata per contrastare la diffusione del Covid-19, in molte zone del paese si è percepito un costante miglioramento della qualità dell’aria. Grandi città come Milano, in cui l’inquinamento atmosferico costituisce un problema significativo, hanno registrato una discesa degli indici di concentrazione di alcuni inquinanti, con l’effetto di rendere più limpide giornate altrimenti fosche.

Nel mese di giugno 2020 sono stati resi noti i dati di uno studio preliminare volto a misurare l’andamento delle concentrazioni di alcuni gas inquinanti. Lo studio si colloca all’interno del progetto europeo LIFE Prepair, che si occupa della qualità dell’aria delle regioni del bacino padano e di cui è partner l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (ARPA) della Lombardia. Si è osservato, in particolare, un netto calo degli ossidi di azoto, e un calo moderato del particolato.

Alcune precisazioni sono necessarie per comprendere se dai dati disponibili si possa trarre qualcosa di utile.

Questi dati, da soli, non comunicano molto. Si limitano a riflettere l’ovvia constatazione che imporre ai cittadini di non uscire dalle proprie abitazioni e fermare quasi tutte le attività produttive ha degli effetti sulle sostanze che, con tali attività, rilasciamo nell’ambiente. Per comprendere se da essi si possa trarre qualcosa di utile per il modo in cui riprogrammare la vita a emergenza sanitaria conclusa, sono necessarie alcune precisazioni.

Per prima cosa, occorre chiarire di che sostanze si stia parlando, onde evitare confusione tra temi per alcuni versi vicini, ma per altri ben distinti, come l’inquinamento atmosferico e i cambiamenti climatici.

I gas misurati dallo studio menzionato sono utili per delineare la situazione della qualità dell’aria di un territorio. Gli ossidi di azoto (NOx) derivano principalmente dai processi di combustione ad alta temperatura, come ad esempio quelli necessari al funzionamento dei motori delle automobili e degli impianti di riscaldamento. Si tratta di gas tossici e densi, che tendono a restare in prossimità del suolo.

Il particolato, o PM (acronimo di Particulate Matter), è un insieme di particelle solide o liquide assai diverse tra loro sospese nell’atmosfera, di origine sia naturale sia antropogenica. Il PM è altamente nocivo per la salute umana, data la capacità delle particelle più piccole di entrare in profondità nell’organismo e alterarne l’equilibrio. La presenza di NOx e PM nell’aria aumenta il rischio di sviluppare alcune patologie, tra cui spiccano quelle delle vie respiratorie.

Premesso che le concentrazioni di gas inquinanti nell’aria sono fortemente dipendenti dalle condizioni meteorologiche, quello che si è osservato nel mese di marzo 2020, se comparato con i dati dello stesso periodo del 2019, è una decisa decrescita dei NOx, e una decrescita, sebbene meno marcata, dei PM. La qualità dell’aria, e di conseguenza la salute dei cittadini, ha tratto giovamento dal periodo di lockdown, e consentirà probabilmente di rispettare i limiti posti dall’UE sulla presenza di inquinanti consentiti nell’aria, o se non altro di sforare tali limiti per meno giornate.

Sono state ripensate le attività produttive, i trasporti, il lavoro, ma anche il modo di viaggiare e di alimentarsi.

Questi gas inquinanti non sono da confondere con i gas climalteranti, come la CO2, il metano o altri gas serra, che in parte vengono emessi dagli stessi processi che rilasciano gli inquinanti menzionati. Sono i gas climalteranti a essere responsabili dell’incremento dell’effetto serra che conduce all’aumento della temperatura globale terrestre (global warming) che a sua volta causa i cambiamenti climatici, con tutti gli effetti dannosi sull’ambiente e sulla vita umana e non umana che essi comportano. Anche le emissioni di CO2 sono naturalmente diminuite a causa del Covid. Tuttavia non ci è consentito trarre alcuna conclusione rispetto a un possibile effetto positivo del lockdown sulla lotta al cambiamento climatico. La concentrazione dei gas inquinanti decresce rapidamente se essi vengono immessi nell’aria in minore quantità, e vento e piogge contribuiscono a disperderli. I gas serra invece non subiscono l’influenza delle condizioni meteorologiche, permangono in atmosfera per tempi molto lunghi, e dunque occorre un taglio delle emissioni protratto per un lasso di tempo significativamente più ampio per apprezzare un calo della loro concentrazione. Se dunque la diffusione del coronavirus avrà contribuito alla mitigazione dei cambiamenti climatici, dipenderà esclusivamente da come (e se) verranno ripensate le attività produttive, i trasporti, il lavoro, ma anche il modo di viaggiare e di alimentarsi, non appena l’epidemia si sarà placata.

L'utilizzo dello smart working ha portato dei vantaggi ambientale?

La possibilità di lavorare da casa (smart working) ha senza dubbio contribuito alla riduzione dei trasporti privati per recarsi sul posto di lavoro. Tuttavia, poiché il suo effetto non rimanga circoscritto nel tempo e limitato al picco dell’emergenza sanitaria, occorre che tale pratica si consolidi e si diffonda in tutti i settori lavorativi in cui la sua adozione non causa svantaggi. Ciò avrebbe senza dubbio un effetto positivo sia nel breve termine, portando a una diminuzione del traffico su strada e quindi del rilascio di gas inquinanti, sia nel lungo termine, poiché anche la CO2 emessa dai veicoli verrebbe ridotta.

La diminuzione del traffico urbano condurrà a un miglioramento della qualità dell’aria a livello locale, ma potrebbe non essere una misura sufficiente per contrastare il cambiamento climatico in corso. Non sarà, insomma, l’introduzione sistematica dello smart working ciò che consentirà di contenere l’aumento della temperatura globale terrestre. Occorre invece un passo deciso verso le energie rinnovabili, l’efficienza energetica, il potenziamento del trasporto pubblico; e, dalla parte degli individui, una riduzione significativa nell’uso dei veicoli privati, del riscaldamento e dell’aria condizionata, e nel consumo di carni rosse e di alimenti di origine animale. Su tutto questo il Covid non ha insegnato molto.

Eppure, è apparso chiaro durante questo periodo di emergenza che non vi è abitudine che non si possa cambiare, non vi è routine che non si possa stravolgere, non vi sono piaceri cui non si possa rinunciare. La diffusione del Covid ha mostrato che si può fare a meno di uscite e divertimenti, viaggi e feste. Con fatica, ma si può. I cambiamenti comportamentali che aiuterebbero a far fronte all’emergenza climatica sono molto meno drastici rispetto a quelli appena affrontati, eppure cruciali.”

La possibilità di lavorare da casa (smart working) ha senza dubbio contribuito alla riduzione dei trasporti privati per recarsi sul posto di lavoro. Tuttavia, poiché il suo effetto non rimanga circoscritto nel tempo e limitato al picco dell’emergenza sanitaria, occorre che tale pratica si consolidi e si diffonda in tutti i settori lavorativi in cui la sua adozione non causa svantaggi. Ciò avrebbe senza dubbio un effetto positivo sia nel breve termine, portando a una diminuzione del traffico su strada e quindi del rilascio di gas inquinanti, sia nel lungo termine, poiché anche la CO2 emessa dai veicoli verrebbe ridotta.

La diminuzione del traffico urbano condurrà a un miglioramento della qualità dell’aria a livello locale, ma potrebbe non essere una misura sufficiente per contrastare il cambiamento climatico in corso. Non sarà, insomma, l’introduzione sistematica dello smart working ciò che consentirà di contenere l’aumento della temperatura globale terrestre. Occorre invece un passo deciso verso le energie rinnovabili, l’efficienza energetica, il potenziamento del trasporto pubblico; e, dalla parte degli individui, una riduzione significativa nell’uso dei veicoli privati, del riscaldamento e dell’aria condizionata, e nel consumo di carni rosse e di alimenti di origine animale. Su tutto questo il Covid non ha insegnato molto.

Eppure, è apparso chiaro durante questo periodo di emergenza che non vi è abitudine che non si possa cambiare, non vi è routine che non si possa stravolgere, non vi sono piaceri cui non si possa rinunciare. La diffusione del Covid ha mostrato che si può fare a meno di uscite e divertimenti, viaggi e feste. Con fatica, ma si può. I cambiamenti comportamentali che aiuterebbero a far fronte all’emergenza climatica sono molto meno drastici rispetto a quelli appena affrontati, eppure cruciali.”

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