15 Marzo, Giornata dei Disturbi Alimentari: intervista doppia agli esperti
Alterazione delle abitudini alimentari, marcata preoccupazione per il peso corporeo e per le forme corporee: queste le caratteristiche principali dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA). Il 15 marzo è la Giornata del Fiocchetto Lilla, istituita per sensibilizzare le persone sui disturbi dell’alimentazione e della nutrizione. Un disturbo del comportamento alimentare cambia completamente la vita di chi ne soffre, ne limita le capacità relazionali, lavorative e sociali: tutto infatti sembra ruotare intorno al cibo e alla percezione corporea. Tali pensieri sono presenti costantemente nel corso della giornata, non solo a tavola: la loro intensità e intrusività, assumendo la forma di una vera e propria ossessione, rende quasi impossibile terminare un compito scolastico o completare un impegno lavorativo.
A che età si manifestano questi disturbi? Da cosa sono causati? Quali sono i segnali che non vanno ignorati? E come si può aiutare chi ne soffre? Su UniScienza&Ricerca ne abbiamo parlato in quest’intervista doppia con il Dott. Stefano Erzegovesi, Medico psichiatra e nutrizionista, coordinatore delle attività cliniche e di ricerca al Centro per i Disturbi Alimentari dell’Ospedale San Raffaele, e la Prof.ssa Anna Ogliari, Medico, Associato di Psicologia Clinica presso UniSR, Specialista in Psicologia clinica e Psicoterapeuta presso il Servizio di Psicopatologia dello sviluppo.
A che età si manifestano i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA)?
È vero che di anoressia e bulimia si ammalano solo le donne? I maschi e le femmine mostrano quadri simili o diversi?
È vero che i disturbi alimentari sono causati dalla famiglia?
La moda delle modelle magre fa ammalare le ragazze di anoressia?
Come faccio ad accorgermi che una persona cara si sta ammalando di un disturbo alimentare?
Detto questo, ci sono alcuni segni iniziali che, se riconosciuti per tempo, possono aiutare ad indirizzare la persona sofferente di disturbo alimentare verso la cura più adatta.
Vediamo insieme alcuni di questi “campanelli d’allarme”:
– si mangia meno del solito e ci sono sempre mille motivi diversi per giustificarlo: “oggi fa caldo”, “mi fa male la pancia”, “ho mangiato tanto a scuola”.
– cambia il modo di stare a tavola: non più chiacchiere ed atteggiamenti conviviali, ma silenzi, estrema concentrazione sul piatto, lentezza nel mangiare, rituali di sminuzzamento del cibo.
– il cibo diventa un’ossessione: si mangia poco e si cucina molto, si collezionano ricette, si vuole fare la spesa per tutta la famiglia.
– cambia il modo di vivere il proprio corpo: si cambia modo di vestire, si chiedono rassicurazioni (“mi è venuta la pancia?” “ho le gambe grosse?”), si diventa assidui frequentatori di blog/siti che esaltano in maniera inappropriata la magrezza o la forma fisica.
– l’attività fisica non è più un’occasione per rilassarsi e stare con gli altri, ma diventa un dovere ossessivo (“oggi la piscina è chiusa, devo comunque andare in palestra”, “anche se piove devo correre 10 km”).
– in alcuni casi, si notano ingiustificate fughe verso il bagno subito dopo il pasto, per i motivi più vari (“voglio lavarmi subito i denti”, “dopo mangiato mi scappa subito”), che si correlano ad episodi di vomito autoindotto.
Come posso aiutare una persona cara che ne soffre?
DA NON FARE MAI
– la prima regola è “nessun giudizio, nessun commento”: non serve a nulla e, spesso, ottiene l’effetto uguale e contrario (es. “non ti si può guardare da quanto sei magra”, “presto morirai”, “sei tu che non ti impegni”).
– i disturbi alimentari sono disturbi complessi, e non c’è mai un’unica causa; quindi mai colpevolizzare un fattore esterno (es. “è stata l’amica che si è messa a dieta che l’ha influenzata”) o, peggio, un fattore familiare (es. “è la mamma che la stressa troppo”, “è il papà che non ci parla mai”).
– a tavola non si discute e non si litiga. Se il pasto venisse comunque rifiutato (tutto o in parte), se ne parlerà più tardi.
– mai essere complici della malattia rimandando il problema, “tanto passerà con la crescita”.
– ricordiamo sempre che i cambiamenti indotti dall’anoressia servosa sono lievi, quasi impercettibili, ma progressivi e persistenti, come la classica “gocciolina che continua a cadere e spacca la roccia”. Quindi mai pensare “non facciamo niente, oggi è andata così ma domani passerà”: i sintomi di disturbo alimentare, se non curati, rarissimamente passano da soli.
– i genitori devono parlarsi tra di loro e stabilire una linea comune da tenere con il figlio: un messaggio di cambiamento, per quanto forte e tecnicamente corretto, viene recepito poco se trasmesso da un solo genitore.
– il rifiuto del cibo è rarissimamente in relazione a motivi fisiologici (“sarà la crescita” o, peggio, “saranno capricci”) o motivi organici (“sarà la tiroide”), quindi teniamo sempre a mente al concomitanza di un disagio psicologico, più o meno nascosto.
– nel parlare con la persona cara, mettiamo in evidenza le alterazioni della qualità di vita (“non vedi più i tuoi amici?”, piuttosto che “mi sembra che la tua vita sia meno felice di prima”) ed evitiamo giudizi sulla persona (tipo “guarda come ti sei ridotta”).
– in ogni caso, anche solo nel dubbio, accompagnate la persona a voi cara dal medico di famiglia e, successivamente, presso un centro specializzato in disturbo alimentare.