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VIRUS ZIKA: IDENTIFICATA UNA POTENZIALE “PORTA D’ACCESSO” AL FETO

17 April 2017
Research

Zika è un virus conosciuto da molto tempo (è stato scoperto nel 1947 in Uganda); nonostante questo, il suo nome ha iniziato ad essere tristemente noto al grande pubblico solo nel 2015, a causa dell’aumentata frequenza di bambini nati affetti da microcefalia verificatasi in Brasile. Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Scientific Reports (del gruppo Nature) ha identificato una potenziale “porta di accesso” del virus Zika al feto. Primo autore del lavoro è la Dott.ssa Isabel Pagani, laureata in Biotecnologie presso l’Università Vita-Salute San Raffaele; tra gli autori anche i Proff. Guido Poli e Massimo Candiani, Ordinari presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia del nostro Ateneo. In quest’intervista, le due coordinatrici dello studio, la Dott.ssa Elisa Vicenzi (Capo dell’Unità Patogeni Virali e Biosicurezza) e la Dott.ssa Paola Panina (Laboratorio di Scienze Riproduttive) ci hanno spiegato i dettagli e l’importanza di questa ricerca.

Prima di tutto, conosciamo meglio il virus Zika

Zika è un virus che appartiene alla famiglia dei Flavivirus, di cui fanno parte anche il virus di Dengue e il virus del Nilo Occidentale” spiega la Dott.ssa Vicenzi. “L’inusuale e preoccupante frequenza di bambini nati microcefalici in una specifica area del Brasile nel 2015, unita alla coincidenza temporale in cui una particolare zanzara (Aedes aegypti) era comparsa esattamente in quella zona, hanno fatto sospettare che il virus venisse trasmesso dalla puntura della zanzara che vive nelle zone tropicali (come America Centrale e Meridionale); la conferma definitiva si è avuta quando Zika è stato identificato nel cervello dei feti delle donne che erano state punte e infettate”.

Quali patologie causa Zika?

Continua la Dott.ssa Vicenzi: “A parte una probabile associazione dell’infezione da Zika con la sindrome di Guillain-Barré, una malattia dei nervi periferici in cui si verifica una grave perdita di mielina [il materiale isolante che permette la conduzione degli impulsi nervosi, N.d.R.], nell’adulto il virus non causa patologie importanti: l’80% delle persone infettate non presenta alcun sintomo, mentre il 20% sviluppa i classici sintomi influenzali (febbre, male alle ossa, rush cutaneo, congiuntivite)”.

Il vero problema, però, sono le donne gravide: se il virus colpisce una donna durante il primo trimestre di gravidanza, è in grado di infettare e attraversare la placenta, giungere al liquido amniotico e infettare il feto, specialmente il tessuto neurale in via di sviluppo.

“Zika ha un tropismo [una “preferenza” per un tipo cellulare, N.d.R.] molto ampio, ma il suo bersaglio preferito sono le cellule neurali del feto, i mattoncini con cui si costruisce e si sviluppa il cervello: se Zika infetta queste cellule ne causa la morte, compromettendo la generazione di tutti gli strati della corteccia cerebrale”. Negli ultimi mesi sono nati bambini apparentemente sani anche da donne infettate, ma sono in atto diversi programmi di osservazione per verificare se in futuro svilupperanno deficit cognitivi o motori.

Dove si inserisce questa ricerca?

Per comprendere meglio le implicazioni di questa ricerca” introduce la Dott.ssa Panina “è bene prima fare un veloce ripasso del sistema riproduttivo femminile”.

La parete dell’utero è costituita da due strati principali di tessuto:

  • l’endometrio, il rivestimento più interno dell’utero, composto da un epitelio, monostratificato e sottile, e da uno strato di stroma, del tessuto connettivo più consistente. Le cellule dell’endometrio, specialmente quelle dello stroma, contribuiscono a formare la placenta in seguito all’impianto dell’embrione.
  • il miometrio, la parte muscolare e più spessa dell’utero.

Durante il ciclo mestruale l’utero subisce un completo rimodellamento, di cui l’endometrio è il tessuto più coinvolto. Sotto l’azione degli estrogeni (fase proliferativa, nell’immagine linea arancione) l’endometrio, in particolare le cellule stromali, proliferano fino al momento dell’ovulazione. A questo punto, sotto lo stimolo del progesterone (fase secretiva, nell’immagine linea viola) queste cellule si differenziano per prepararsi funzionalmente ad incontrare l’eventuale prodotto del concepimento. Questo processo di modificazioni morfologiche e molecolari cui il tessuto stromale dell’endometrio va incontro per permettere l’impianto dell’embrione è detto decidualizzazione.

Inoltre, nella fase progestinica il tessuto endometriale viene irrorato da nuovi vasi sanguigni che formano le cosiddette “arterie spirali”: proprio la presenza di questa vasi potrebbe permettere a Zika di arrivare al feto attraverso il sangue.

Non solo: a differenza degli altri virus della sua famiglia, Zika può essere trasmesso anche tramite rapporto sessuale con un partner infetto.

Quindi come fa Zika ad arrivare al feto?

La nostra domanda” riprende la Dott.ssa Panina “è stata: come fa Zika ad arrivare al feto, dato che dovrebbe in qualche modo essere “ostacolato” dalla barriera placentare? È possibile che in qualche modo il virus possa raggiungere le cellule endometriali, sfruttarle come “serbatoio” per replicarsi e da lì attraversare la placenta ed infettare il feto? Abbiamo voluto testarlo”.

Grazie alla collaborazione con l’Unità di Ostetricia e Ginecologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, i ricercatori hanno ottenuto delle cellule isolate dall’utero di pazienti sane. “È molto difficile ottenere le cellule endometriali, perché il campione va selezionato attentamente: le pazienti non devono assumere farmaci progestinici, non devono essere in premenopausa, né avere alcuna patologia endometriale, nemmeno sospetta”.

Una volta ottenuti questi preziosi campioni, i ricercatori hanno generato una linea cellulare che mimasse in vitro ciò che accade alle cellule endometriali.

Abbiamo stimolato queste cellule con progesterone e AMP ciclico, due sostanze che le inducono a decidualizzare (a differenziare per permettere l’impianto dell’embrione). Dopo alcuni giorni in coltura abbiamo riprodotto in vitro quello che accade tra il 21° e il 23° giorno del ciclo mestruale, tempistica che possiamo monitorare in maniera estremamente precisa seguendo la secrezione di proteine specifiche”. Una volta verificato che il modello di linea immortalizzata riproducesse ciò che accade in vivo, le cellule sono state affidate all’Unità di Patogeni Virali e Biosicurezza.

Interviene la Dott.ssa Vicenzi: “A questo punto abbiamo infettato le cellule con il virus Zika, fornitoci dall’IRCCS Lazzaro Spallanzani di Roma. In maniera sorprendente abbiamo osservato che la linea cellulare da noi generata, esattamente come le cellule primarie isolate dal tessuto delle donatrici, si infettava in maniera produttiva: i virus hanno cioè infettato queste cellule e le hanno sfruttate per replicarsi e produrre nuove particelle virali. Se poi la linea cellulare era stimolata a decidualizzarsi, l’infezione era 100 volte più produttiva”.

Questo studio dimostra per la prima volta che le cellule stromali endometriali, in particolare se decidualizzate, rappresentano un probabile bersaglio cellulare cruciale per Zika, nonché una potenziale fonte di diffusione del virus alle cellule della placenta durante gravidanza.

Come il virus arrivi a queste cellule endometriali è ancora tutto da capire” spiega la Dott.ssa Pagani; “potrebbe raggiungerle mediante la vascolarizzazione uterina nella fase iniziale dell’infezione in cui il virus è presente nel sangue (viremia) o per trasmissione sessuale. Non è escluso che il virus possa anche infettare le cellule epiteliali dell’endometrio oltre alle cellule stromali…non lo sappiamo ancora, ma sarà uno step successivo della nostra ricerca”.

Chiediamo infine alla Dott.ssa Panina come mai le cellule endometriali stromali siano più suscettibili all’infezione proprio durante la fase secretiva.

Sotto l’azione del progesterone le cellule vanno incontro a un gran numero di modifiche importanti, tra cui l’aumentata espressione sulla superficie cellulare di una proteina coinvolta nell’ingresso del virus, e l’espansione del reticolo endoplasmico (il sito intracellulare scelto dal virus per replicare)”. In effetti è noto da tempo che la fase proliferativa sia quella più refrattaria alle infezioni virali, grazie agli estrogeni che stimolano vari meccanismi immunitari di difesa; al contrario, la fase secretiva è quella più sensibile alle infezioni. E conclude: “Questo non significa necessariamente che il progesterone, che è alla base di diversi preparati farmacologici, aumenti la possibilità di infettarsi con virus Zika. Semplicemente il virus, da “bravo” parassita intracellulare obbligato, non fa altro che utilizzare a proprio beneficio un meccanismo fisiologico delle nostre cellule”.

Trovare delle efficaci strategie antivirali che ostacolino questi meccanismi è una delle frontiere della ricerca su cui si lavora e si lavorerà sempre di più in futuro.

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