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Due laureate Biotech UniSR raccontano la microscopia intravitale: sistema immunitario vs virus, visti “in technicolor”

10 dicembre 2016
Ricerca

Quando i virus si nascondono al sistema immunitario

Quella tra sistema immunitario e virus è una battaglia senza fine, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Quando il sistema immunitario viene attaccato, si difende eliminando il virus e aiutando la guarigione dell’organismo senza grandi problemi. Esistono tuttavia alcuni virus – ad esempio il virus dell’epatite B o dell’epatite C – che sono capaci di “evadere” il sistema immunitario e permanere a lungo nell’organismo, generando un’infezione cronica, spesso grave.

Perché alcuni virus vengono eliminati immediatamente dall’organismo e altri no? Finora i ricercatori non erano riusciti a spiegarselo, ma uno studio condotto presso il San Raffaele fornisce, per la prima volta, una possibile spiegazione dei meccanismi che i virus mettono in atto per sfuggire al controllo del sistema immunitario. Ancora più straordinario è il fatto che per questa scoperta i ricercatori hanno usato una rivoluzionaria tecnica di microscopia in vivo, chiamata microscopia intravitale, che consente di osservare in profondità e in tempo reale come si comportano le cellule del sistema immunitario in azione.

Conosciamo le protagoniste di questo nostro racconto

Lo studio che ha ottenuto questi incredibili risultati è stato coordinato da Matteo Iannacone, capo dell’Unità di Ricerca in Dinamica delle Risposte Immunitarie nella Divisone di Immunologia, Trapianti e Malattie Infettive del San Raffaele. Tra gli autori del paper svettano due nomi che si trovano per la prima volta su un articolo scientifico: Claudia Cristofani e Gianmaria Maganuco, le protagoniste di questo nostro piccolo racconto. Claudia e Gianmaria sono due studentesse laureatesi pochissimi giorni fa al Corso di Laurea Magistrale in Biotecnologie Mediche, Molecolari e Cellulari presso l’Università Vita-Salute San Raffaele. Non c’è da stupirsi, dunque, che abbiano svolto questa intervista con un sorriso estatico stampato in viso.

La ricerca scientifica mi ha sempre appassionato” racconta Gianmaria, “per questo dopo la Triennale, che ho svolto in un altro Ateneo, ho deciso di tentare il test di ammissione per la Magistrale al San Raffaele, che conoscevo per l’eccellente qualità dei suoi laboratori e per essere un centro di ricerca riconosciuto a livello internazionale”. Una volta superato il test, fa subito amicizia con Claudia, anche lei proveniente da un’altra Università: “In poco tempo io e Gianmaria siamo diventate grandi amiche. All’ultimo anno della Magistrale dovevamo scegliere in quale laboratorio svolgere il tirocinio di tesi: la scelta di entrare nel laboratorio del Dottor Iannacone è stata maturata in maniera indipendente, ma dopo esserci confrontate abbiamo pensato che sarebbe stato bello affrontare quest’avventura insieme”.

In cosa consiste lo studio a cui avete partecipato?

Quando un virus entra nell’organismo, si attivano delle cellule del sistema immunitario chiamate linfociti B: queste cellule sono in grado di produrre degli anticorpi specifici che si legano alla superficie del virus, disattivandolo o segnalandolo ad altre cellule del sistema immunitario, che possono così riconoscere il corpo estraneo ed eliminarlo.

Come dicevamo prima, invece, alcuni tipi di virus sono in grado di “nascondersi” dalla risposta immunitaria. “Siamo andati ad osservare cosa accade nei linfonodi [piccoli organi disseminati in tutto il corpo, N.d.R.], dove normalmente i linfociti B si attivano per produrre gli anticorpi. L’obiettivo era capire cosa va storto nel funzionamento della risposta immunitaria”, spiega il Dottor Iannacone.

Nello schema a destra, i pallini viola scuro rappresentano la posizione dei linfonodi nel corpo umano. Per questo studio i ricercatori hanno usato dei modelli di topo analizzando un piccolo linfonodo (chiamato “popliteo”) localizzato dietro il ginocchio, “perché è il linfonodo drenante più vicino al sito di infezione sottocutaneo e nel nostro laboratorio, grazie a tecniche di imaging come la microscopia intravitale, riusciamo a visualizzare la dinamicità spazio-temporale di eventi molecolari e cellulari dopo infezione” precisa Gianmaria.

Il linfonodo ha una caratteristica forma a fagiolo; all’interno ci sono delle regioni, chiamate follicoli, dove il linfocita B esercita la sua funzione di guardiano del sistema immunitario e, se  riconosce un virus come dannoso, si attiva in plasmacellula, la “versione” del linfocita B capace di produrre anticorpi, proteine a forma di Y che vengono rilasciate nel circolo sanguigno per poi migrare nella zona di infezione dove contribuiscono all’eradicazione del virus.

Abbiamo chiesto alle ragazze di spiegarci qual è l’oggetto di questa ricerca e perché i suoi risultati sono così importanti.

“Alcuni virus sono capaci di indurre la produzione da parte di cellule del sistema immunitario di una molecola chiamata interferone, in grado di modulare le difese immunitarie e inibire la moltiplicazione del virus” spiega Claudia. “Quando questa molecola viene prodotta per molto tempo e ad alti livelli può anche agire a sfavore del nostro sistema immunitario. Nel nostro studio abbiamo visto che una sostenuta presenza di interferone è in grado di attirare una popolazione cellulare chiamata monociti infiammatori. Durante l’infezione, questi monociti vengono reclutati nella zona interfollicolare del linfonodo, dove interagiscono con i linfociti B”.

Una volta richiamato il monocita infiammatorio rilascia ossido nitrico, una molecola tossica che uccide il linfocita B. Poiché il linfocita B muore, non può attivarsi in plasmacellula e quindi nemmeno produrre anticorpi: questo significa che il virus persiste indisturbato all’interno dell’organismo.

Il nostro studiocontinua Claudia “è stato fondamentale perché per la prima volta sono state viste queste interazioni cellulari con una tecnica straordinaria e innovativa: la microscopia intravitale che permette di seguire– in tempo reale e ad altissima risoluzione – la dinamicità ed il comportamento di singole cellule rese fluorescenti all’interno di organi e tessuti in vivo (cioè direttamente nell’organismo)”.

Nel filmato, realizzato dal laboratorio del Dott. Iannacone e disponibile cliccando qui, è possibile vedere realmente come i monociti infiammatori ed i linfociti B si muovono e interagiscono tra loro.

Una volta identificato il meccanismo che i virus sfruttano per persistere nell’ospite” dice Iannacone, “abbiamo provato a intervenire direttamente sui monociti infiammatori” per vedere se fosse possibile revertire la situazione. Eliminando i monociti infiammatori, impedendone l’arrivo nei linfonodi o impedendo loro la produzione di ossido nitrico, si è visto che si è in grado di ripristinare una corretta risposta immunitaria. Infatti linfociti B sono nuovamente capaci di produrre anticorpi capaci di eliminare il virus.

Precisano le ragazze: “Questo lavoro ha identificato un nuovo meccanismo attraverso cui le risposte dei linfociti B vengono compromesse in presenza di certi virus; non è escluso che un domani ne vengano scoperti altri”.

Implicazioni e applicazioni future

Come modello di infiammazione persistente, i ricercatori hanno usato il virus della coriomeningite linfocitaria (LCMV), un virus tipico dei topi che mima alcuni tipi di infezioni virali nell’uomo, ossia quelle provocate dal virus dell’epatite C o dell’epatite B. Lo studio è importante perché il meccanismo messo in atto dal virus LCMV potrebbe essere lo stesso usato da questi virus per evitare di farsi eliminare dal sistema immunitario nelle prime fasi d’infezione. Inoltre, questa ricerca potrebbe avere applicazioni nel disegno di nuove strategie vaccinali, il cui obiettivo è appunto indurre la produzione di anticorpi capaci di inibire la replicazione del virus.

Una domanda per le ragazze: questo è il primo articolo scientifico in cui compaiono i vostri nomi. Come ci si sente alla vostra prima pubblicazione?

È un’emozione grandissima, ma secondo me non ne abbiamo ancora realizzato l’importanza” sorride Claudia. Gianmaria aggiunge: “Finché sei preso da tante scadenze, dalla stesura della tesi e da mille altri impegni, non ti rendi perfettamente conto che questo è e sarà sempre il tuo “primo articolo”. Di certo però siamo molto orgogliose del lavoro che abbiamo svolto”. E concludono insieme: “Quest’anno ci ha formato da un punto di vista didattico (abbiamo acquisito molte competenze tecniche, mettendo in pratica ciò che ci è stato insegnato in tanti anni di studio), ma anche da un punto di vista umano: ci ha insegnato a collaborare, a lavorare in team, a rispettare spazi e orari dei colleghi. All’inizio eravamo un po’ spiazzate: il lavoro era complesso, l’approccio scientifico era nuovo ai nostri occhi e non è stato semplice; ma i nostri professori e tutor che ci hanno affiancato con pazienza e disponibilità, e di questo li ringraziamo di cuore”.

Non ci resta che far loro tanti complimenti, con l’augurio di vivere sempre…a colori! 🙂

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