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Uno studio UniSR indagherà i meccanismi della fragilità nell’anziano

06 settembre 2019
Premi e riconoscimenti

“Obiettivo del nostro studio sarà indagare i meccanismi di base della fragilità nell’anziano: scopo ultimo sarà individuare i segnali e i campanelli d’allarme che precedono la fragilità per poter intervenire tempestivamente, e consentire ai nostri anziani di condurre una vecchiaia più serena”. Il bando Cariplo “Ricerca biomedica sulle malattie legate all’invecchiamento sostiene progetti di ricerca volti alla comprensione dei meccanismi biologici e fisiopatologici alla base della fragilità nell’anziano e alla validazione di nuovi studi che consentano di prevenire o limitare gli effetti deleteri di questa condizione. Vincitore 2018 per UniSR è il Dott. Simone Cenci, medico geriatra e ricercatore, Capo dell’Unità “Malattie dell’Invecchiamento, che si è aggiudicato un finanziamento per il progetto “An unprecedented control of mitochondrial function by the pro‐longevity adapter p62: mechanisms and role in aging and frailty”. In questa intervista ci raccontano il loro progetto il Dott.  Cenci e il Prof. Luigi Gennari, Professore di Medicina Interna presso l’Università degli Studi di Siena e partner del progetto vincitore.

La fragilità nell'anziano

Con l’invecchiamento si assiste alla riduzione della funzionalità di organi e apparati che espongono l’individuo ad un maggior rischio di malattia. Quando l’organismo si trova in una condizione di vulnerabilità che lo rende instabile di fronte ad eventi negativi si parla di “fragilità”.

Spiega il Dott. Cenci: “L’“anziano fragile” è colui che sperimenta una precaria stabilità delle proprie condizioni cliniche con l’elevato rischio di complicanze a cascata; la fragilità è una sindrome complessa, data dalla somma di tante patologie che coinvolgono diversi aspetti dell’individuo (fisici, psichici, sociali) che ne alterano la qualità della vita. Obiettivo del nostro studio sarà indagare i meccanismi di base della fragilità: useremo come “modello” i pazienti affetti da sindrome di Paget, per poi estendere i nostri risultati allo studio di altri pazienti geriatrici. Lo scopo ultimo sarà individuare i segnali e i campanelli d’allarme che precedono la fragilità per poter intervenire tempestivamente, e consentire ai nostri anziani di condurre una vecchiaia più serena”.

La sindrome di Paget

Il punto di partenza per questa ricerca sono i “pazienti Paget”. Racconta il Prof. Gennari: “La sindrome di Paget è una malattia ossea solitamente diagnosticata verso i 40-50 anni. È una patologia curiosa, perché coinvolge uno o più ossa, colpite in maniera casuale. La caratteristica più evidente dei pazienti con sindrome di Paget è un osso dal volume molto aumentato: a seguito di un importante riassorbimento osseo (effettuato da alcune cellule dette osteoclasti), si verifica un’elevata attività delle cellule che depositano nuovo osso (gli osteoblasti).

Come risultato si ha un osso caotico, che non rispecchia più la normale struttura con la deposizione del collagene a fibre parallele: questo non solo ne fa aumentare il volume, ma fa perdere le capacità biomeccaniche delle ossa, che diventano più deformabili, specie quelle sottoposte a carico (come la tibia), che si incurvano e possono portare a fratture o notevoli compromissioni della capacità deambulatoria”.

Tra i personaggi famosi che sarebbero stati affetti dalla sindrome di Paget figurano Beethoven (l’aumento di volume osseo avrebbe danneggiato le strutture nervose causandone la sordità) e Dominic DiMaggio, giocatore di baseball fratello del più famoso Joe, che fu principale supporter della Paget Foundation for Paget’s Disease of Bone and Related Disorders.

Continua il Professore: “Nel 2002, anche grazie alla stretta collaborazione con l’Associazione Italiana Malati Osteodistrofia di Paget, abbiamo iniziato a raccogliere i pazienti con sindrome di Paget in tre centri principali (Siena, Torino e Napoli): ad oggi la coorte conta circa 900 pazienti, la più grande al mondo per persone con questa patologia”. Grazie alle analisi su un numero così elevato di soggetti, i ricercatori hanno osservato delle mutazioni in alcuni geni, tra cui la principale colpisce una proteina coinvolta nei processi di invecchiamento, chiamata p62.

P62 e l'invecchiamento

Interviene il Dott. Cenci: “Da qualche anno, le cause molecolari che determinano l’invecchiamento sono state chiarite, e sono stati identificati 9 tratti fenotipici dell’invecchiamento. Tra questi, 2 risultano fondamentali nel causare il processo: un danno a carico dei mitocondri e la perdita di omeostasi proteica.

Vale a dire che tutte le cellule che invecchiano sono caratterizzate da un certo grado di disfunzione mitocondriale e dall’aggregazione di proteine che non vengono correttamente smaltite”. La sfida che attende i ricercatori è scoprire se esistono (e quali sono) le connessioni tra questi tratti, su cui si potrebbe intervenire per guadagnare salute e longevità. “Noi pensiamo di aver scoperto uno di questi meccanismi di inter-connessione – rivela il Dott. Cenci – un processo innovativo che coinvolge proprio la proteina p62, spesso mutata nei pazienti Paget”.

Per mettere alla prova il meccanismo appena scoperto, i ricercatori seguiranno un’idea innovativa: oltre a condurre sofisticate indagini cellulari e molecolari in laboratorio, collaboreranno proprio con i pazienti di Paget che serviranno come anziani “speciali” per comprendere (e possibilmente imparare a correggere) i meccanismi che fanno invecchiare le nostre cellule e dunque il nostro organismo.

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