In passato diversi sono stati i fraintendimenti e le connotazioni negative dovuti proprio a una erronea denominazione di un virus.
Ad esempio, nel caso di HIV la malattia fu inizialmente chiamata GRID (Gay-related immunodeficiency): questa definizione contribuì a dare un senso di falsa rassicurazione alla comunità eterosessuale, che per diverso tempo ritenne di poter essere immune dal contagio.
Per il suo nome, la MERS (Middle-East Respiratory Syndrome), denominata per la sua insorgenza in Medio Oriente, fu difficilmente identificabile quando arrivò in Sud Corea nel 2015.
Venne chiamata “spagnola” l’influenza che – tra il 1918 e il 1919 – causò oltre 50 milioni di morti. Erroneamente si credette che il virus fosse diffuso solo nella penisola iberica; il nome venne scelto invece perché i giornali della Spagna (paese allora neutrale) furono i primi a poter riferire liberamente delle conseguenze della malattia in periodo di guerra.
In altre circostanze, virus e microrganismi hanno preso il nome dal luogo o dalla regione in cui sono stati identificati per la prima volta: è il caso ad esempio di Ebola (da un fiume nella Repubblica Democratica del Congo), della malattia di Lyme (da una città del Connecticut), del virus Hendra (dall’omonima città vicino a Brisbane in Australia).
Secondo l’OMS, la sigla scelta eviterà “altri nomi che possano essere inaccurati o stigmatizzanti e darà anche un format standard da usare per ogni futura epidemia di coronavirus”.