La scoperta, pubblicata sull’ultimo numero di Immunity, ha identificato caratteristiche peculiari delle cellule di Kupffer 2, che le differenziano da quelle “convenzionali”. Grazie all’utilizzo di sofisticate tecniche di sequenziamento dell’RNA e di citometria per l’analisi dei recettori cellulari i ricercatori hanno infatti scoperto le cellule di Kupffer 2, una volta stimolate dall’interleuchina-2, sono in grado di esporre sulla propria superficie frammenti del virus dell’epatite B per innescare la risposta dei linfociti (un meccanismo noto come cross-presentazione dell’antigene).
Al contrario, sappiamo che le cellule di Kupffer “convenzionali” non sono efficienti in questo processo: le epatiti virali croniche potrebbero essere dovute anche a questa inefficienza. Finora lo studio è stato effettuato nel fegato di un modello animale, tuttavia, cellule con caratteristiche genetiche simili alle cellule di Kupffer 2 murine sono state recentemente identificate anche nell’uomo. Se queste cellule avessero le stesse peculiarità descritte nel topo, sarebbe possibile ipotizzare di stimolarle, ad esempio tramite interleuchina-2, come terapia delle forme croniche dell’epatite B.