La scienza dell’innamoramento: così l’amore potrebbe alterare la biologia del cervello
Febbraio: l’ultimo mese d’inverno, del carnevale e, per i più romantici, il mese di San Valentino. A tal proposito, vi proponiamo una ricerca di un gruppo di Pisa, guidato dalla Dott.ssa Donatella Marazziti: secondo i ricercatori, chi è innamorato potrebbe avere una maggior concentrazione di dopamina nel cervello, che sarebbe causa di alcune delle caratteristiche tipiche dell’innamoramento.
Per capire in cosa consiste lo studio appena pubblicato, facciamo prima un piccolo zoom sui nostri neuroni.
UNA PICCOLA PREMESSA
La giunzione tra due neuroni si chiama sinapsi, ed è attraverso la sinapsi che i neuroni comunicano tra loro mediante segnali elettrici. Il primo neurone, che trasmette segnali al secondo, è detto neurone pre-sinaptico; il secondo neurone, che riceve messaggi dal primo, è detto neurone post-sinaptico.
La trasmissione del segnale attraverso una sinapsi è unidirezionale, nel senso che il neurone pre-sinaptico comunica con quello post-sinaptico, e non viceversa. Nel terminale pre-sinaptico (la parte “finale” del neurone pre-sinaptico) ci sono delle vescicole che contengono neurotrasmettitori, sostanze che veicolano le informazioni tra le cellule nervose. Per lo studio di cui parla quest’articolo ci interessa conoscere un neurotrasmettitore in particolare: la dopamina (DA). A seguito di particolari stimoli elettrici, le vescicole rilasciano dopamina fuori dal neurone, nello spazio sinaptico (lo spazio tra due neuroni molto vicini): qui DA interagisce con il recettore della dopamina e genera un impulso elettrico nel terminale post-sinaptico. Quando la dopamina ha terminato il suo compito di trasmettere l’informazione elettrica, il trasportatore della dopamina (DAT) la “cattura” e la trasporta nuovamente nel terminale pre-sinaptico, in attesa di un nuovo stimolo.
UNA RICERCA TUTTA ITALIANA
Già in passato molti studi avevano confermato il ruolo della dopamina nell’innamoramento: ricerche effettuate con risonanza nucleare magnetica funzionale avevano evidenziato come, negli innamorati, venissero maggiormente attivate le aree cerebrali che utilizzano più dopamina. Si sa da tempo che la dopamina è coinvolta, tra tante altre funzioni, anche nel regolamento del sonno, dell’umore, dell’attenzione, dell’apprendimento, causa accelerazione del battito cardiaco e aumento della pressione; fino ad oggi, però, non era disponibile nessuna informazione relativa a una valutazione diretta della dopamina negli innamorati romantici.
Per “innamorati romantici” i ricercatori hanno inteso 30 soggetti (15 maschi e 15 femmine), di età compresa tra i 20 e i 40 anni, che fossero coinvolti in una relazione per un tempo inferiore a 6 mesi. Per essere inseriti nella categoria, hanno dovuto raggiungere un determinato punteggio rispondendo ad un questionario specifico ideato dai ricercatori. I soggetti sono stati anche sottoposti a controlli psichiatrici e medici per accertarsi che non avessero alcun tipo di disturbo.
Come fare ad eseguire quest’analisi? Le cellule del sangue, in particolare i linfociti, esprimono sulla loro superficie lo stesso trasportatore della dopamina (DAT) che si trova anche nei neuroni pre-sinaptici. I ricercatori hanno quindi estratto e analizzato i linfociti dai soggetti reclutati nelle fasi iniziali dell’innamoramento, la cosiddetta “fase romantica”, e confrontati con volontari che hanno invece una relazione stabile a lungo termine.
Risultato: il trasportatore della dopamina dei soggetti nella “fase romantica” ha effettivamente subìto dei cambiamenti. Rispetto ai soggetti coinvolti in relazioni più durature, gli innamorati romantici hanno un numero inferiore di trasportatori della dopamina, ed inoltre funzionano di meno. Secondo questa ricerca dunque i DAT presenti sulle membrane dei linfociti degli innamorati sono alterati, indicando in questi soggetti una modifica, quantomeno a livello periferico, del sistema “dopamina”; sapendo che i DAT dei linfociti sono uguali a quelli dei neuroni, è legittimo supporre che alterazioni simili avvengano anche nel cervello.
Molto correttamente, il gruppo precisa: “Bisogna immediatamente riconoscere le limitazioni nell’uso dei linfociti periferici come ‘finestra’ per osservare strutture analoghe presenti nel cervello. Senza dubbio è vero che neuroni e cellule del sangue sono circondate da ambienti diversi e, per questo, sottoposti a diverse regolazioni, ma è anche vero che le similarità tra i DAT nei linfociti e nei neuroni sono straordinarie e significative”.
Idealmente, se i DAT neuronali sono di meno e funzionano meno, non sarebbero completamente efficaci nel “ricatturare” la dopamina presente nello spazio sinaptico: in questo modo la dopamina resterebbe nello spazio sinaptico per un tempo più lungo e continuerebbe ad inviare informazioni al neurone post-sinaptico. Queste ipotesi sarebbero concordi con quanto rilevato dalla ricerca pisana, e cioè che concentrazioni più alte di dopamina corrispondano ad un incremento di gioia, energia, “del desiderio di unione con l’altro e, in generale, del piacere legato alla relazione”.
Ovviamente saranno necessari ulteriori studi per approfondire la questione, ma questo lavoro aggiunge un ulteriore tassello al complesso mosaico della modulazione biologica dell’innamoramento.