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Uno studio UniSR esplora il ruolo del sistema nervoso periferico nello sviluppo della SLA

15 febbraio 2017
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La SLA (sclerosi laterale amiotrofica) è una grave malattia neurodegenerativa. Per intenderci, è quella generalmente nota come “la malattia dei calciatori”, a causa dei tantissimi ex calciatori professionisti ad essere stati colpiti da questa patologia pochi anni dopo l’abbandono della propria carriera sportiva. Uno studio condotto dai ricercatori del San Raffaele ha esplorato alcuni possibili meccanismi che potrebbero essere causa della malattia, e suggerisce che il sistema nervoso periferico possa giocare un ruolo-chiave per la diagnosi precoce e lo sviluppo futuro di terapie innovative.

COS’È LA SLA?

La SLA è una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i motoneuroni, le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale che permettono i movimenti dei muscoli scheletrici. Tipicamente, la malattia consiste in una perdita progressiva della forza muscolare.

Esistono due gruppi di motoneuroni: il primo motoneurone, situato nella corteccia cerebrale, e il secondo motoneurone, localizzato nel midollo spinale, il cui prolungamento raggiunge e attiva i muscoli. Nella SLA sia il primo che il secondo motoneurone vanno incontro a degenerazione e muoiono. Uno dei grandi problemi di questa malattia è che spesso è difficile da diagnosticare: ad oggi l’unico modo per riconoscerla è attraverso un attento esame clinico da parte di un neurologo esperto e l’esecuzione di alcuni esami strumentali, ma non esiste alcun test o procedura altamente specifica in grado di formulare inequivocabilmente la diagnosi. Invece, questa nuova ricerca ha dimostrato che la biopsia del nervo motorio, su una tipologia selezionata di Pazienti, può rappresentare uno strumento diagnostico importante nella diagnosi differenziale tra SLA e neuropatie motorie e che può svelare meccanismi molecolari fondamentali nello sviluppo della malattia a livello del sistema nervoso periferico.

IN COSA CONSISTE QUESTA RICERCA?

Lo studio, pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature, è frutto di una collaborazione tra più centri di ricerca (Istituto Clinico Humanitas, Centro Clinico Nemo-Ospedale Niguarda, Istituto Neurologico Carlo Besta e Ospedale San Raffaele).

A descriverci la ricerca è stato il Dott. Angelo Quattrini, Capo dell’Unità di Neuropatologia Sperimentale dell’Ospedale San Raffaele: “La SLA è tipicamente una malattia del sistema nervoso centrale che comporta una degenerazione del primo e del secondo motoneurone; l’innovazione del nostro approccio sta nell’andare a osservare la periferia per capire il danno che si verifica al centro. Il nostro è uno studio pilota che ha validato la biopsia del nervo motorio come tecnica per poter effettuare una diagnosi precoce, naturalmente in pazienti selezionati”.

Il motoneurone è costituito da un corpo cellulare e da un prolungamento (l’assone) che si dirama verso la periferia; l’assone è inoltre avvolto dalle cellule di Schwann, che producono una guaina isolante. “Il paziente con SLA solitamente ha una perdita notevole (fino quasi al 20%) delle fibre in periferia, prima di avere una sintomatologia importante: valutare la perdita assonale periferica potrebbe aiutarci a prevedere in anticipo l’evoluzione della malattia”.

I ricercatori hanno raccolto dei campioni di nervo motorio da 8 pazienti affetti da SLA nella fase iniziale della malattia e da 7 pazienti affetti da neuropatia motoria, una condizione patologica che nelle prime fasi può essere facilmente confusa con la SLA, che sono serviti da gruppo di controllo. “La biopsia consiste nel prelievo di uno specifico nervo motorio che si trova a livello della coscia e innerva il muscolo gracile; si tratta di un intervento che non genera complicanze rilevanti per il paziente”.

“Abbiamo indagato come le cellule in periferia (quali le cellule di Schwann) influiscono sull’assone dei motoneuroni. In collaborazione con il Dott. Martinelli-Boneschi (capo dell’Unità di Genetica Umana delle Malattie Neurologiche) e il Dott. Nilo Riva, medico e ricercatore dell’INSPE, nonché primo autore dello studio,  abbiamo analizzato e confrontato pazienti con SLA verso pazienti con neuropatie motorie, e abbiamo scoperto che esistono circa 800 geni regolati in modo differente nelle diverse condizioni”.

Questo significa che nelle cellule del sistema nervoso periferico di una persona affetta da SLA ci sono – già nelle prime fasi della malattia – alterazioni caratteristiche e distintive che possono essere identificate e misurabili.

I ricercatori hanno poi effettuato un’analisi bioinformatica, da cui sono emersi dati estremamente interessanti: Abbiamo confermato HDAC2, già noto in letteratura per essere un gene importante nella malattia, come candidato a possibile target farmacologico per rallentarne la progressione. La nostra idea però è di sviluppare dei farmaci che non vadano a regolare direttamente HDAC2, bensì l’interazione che lui stabilisce con altre proteine con le quali forma un complesso. Non solo: abbiamo trovato anche altri geni espressi in maniera particolare. In conclusione, lo studio del nervo motorio potrà permettere l’identificazione di nuovi biomarkers di malattia che potranno essere utili sia in fase diagnostica, sia per una migliore comprensione della patogenesi della SLA e auspicabilmente per lo sviluppo razionale di nuovi approcci terapeutici”

 Lo studio è stato possibile grazie ai finanziamenti di AriSLA – Fondazione Italiana di Ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica.

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