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La "sindrome della capanna": come affrontare il timore di uscire di nuovo

12 maggio 2020
Psicologia

L’inaugurazione della “Fase 2”, che ha concesso più libertà in termini di spostamenti e di ripresa graduale di alcune attività quotidiane, è stata generalmente accolta con sollievo ed entusiasmo; in molti però, all’idea di uscire, stanno sperimentando una sensazione di ansia e malessere, e preferiscono continuare il lockdown. Tale condizione è stata ribattezzata “Sindrome della capanna”. Davvero si tratta di una malattia? Da dove origina? Come si può gestire? Ne parla la Prof.ssa Valentina Di Mattei, Associato di Psicologia Dinamica in UniSR, Specialista in Psicologia Clinica e ricercatrice.

Una conseguenza della quarantena

Se qualcuno, sentendo parlare in questi giorni di “Sindrome della capanna”, andasse a cercare all’interno dei manuali di classificazione dei disturbi mentali, rimarrebbe deluso. Scoprirebbe che, nonostante il termine ‘sindrome’ possa esser fuorviante, non c’è nessuna voce che faccia riferimento ad essa. Non si tratta di una vera e propria patologia ma di una conseguenza sorprendente della quarantena: dopo mesi di isolamento alcune persone mostrano resistenze ad uscire di casa e tornare alla normalità. Un desiderio regressivo simile a quello che si osserva dopo lunghi periodi di malattia. La Società Italiana di Psichiatria stima che circa un milione di italiani vivrà in questi termini la fine del lockdown e che tale condizione durerà due o tre settimane circa.

Quali sono le cause?

Diverse possono essere le cause all’origine di questa reazione. La letteratura scientifica mostra la presenza di reazioni psicologiche avverse durante e dopo i periodi di quarantena: sintomatologia ansiosa, depressiva, stress e solitudine sono gli elementi principali. Chi ha sperimentato queste reazioni ne esce senza dubbio indebolito e più fragile, nonostante non sia possibile generalizzare (bisognerebbe innanzitutto differenziare per fasce d’età). In generale possiamo affermare che le persone (e le famiglie) che hanno un funzionamento psicologico più stabile tendono ad adattarsi con maggiore facilità a situazioni nuove. Molti hanno trovato una nuova routine più intima, casalinga, al riparo da impegni e pressioni quotidiane.

Come affrontare questo momento?

Va affrontato per gradi: all’inizio ci si trova indeboliti e non si può pensare di ributtarsi nella quotidianità contando sulle forze abituali. Può essere utile pensare alla quarantena come a un periodo di malattia e alla fase 2 come una convalescenza. Trascorrere molto tempo in casa, alla lunga indebolisce corpo e psiche anche se non si è realmente malati. Inoltre, come nella malattia, la quarantena ha toccato due categorie di riferimento, essenziali per un normale funzionamento della nostra psiche: lo spazio e il tempo. Dopo una settimana di lockdown la normalità di pochi giorni prima è apparsa subito molto remota.

Attenzione però a non sottovalutare questa condizione se si protrae oltre qualche settimana. Pur non essendo una patologia classificata può essere un fattore di rischio che espone maggiormente persone più fragili o già sofferenti prima dell’emergenza. In questi casi è consigliabile rivolgersi ad un professionista della salute mentale.

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