Empatia in tempo di crisi: quali effetti possiamo vedere nella situazione attuale?
L’empatia ha certamente avuto degli effetti benefici in tempo di crisi.
La dr.ssa Sarah Songhorian percorre alcuni contributi in letteratura per ricordare e analizzare il senso di comunità e le storie di vicinanza e aiuto reciproco che si sono moltiplicate in questo periodo, facendo emergere come questi comportamenti possano "essere sensatamente fatti risalire a una condivisione emotiva empatica”:
L’empatia è spesso considerata un bene morale, una capacità che ci permette di mettere in atto comportamenti di aiuto e di essere altruisti e compassionevoli. Molti sono, anche nel dibattito pubblico, i riferimenti a essa:
Obama parla spesso di empatia; si pensi alla sua recente affermazione […] secondo cui «è la mancanza di empatia che ci permette facilmente di precipitarci nelle guerre. È la mancanza di empatia che ci permette di ignorare i senzatetto per la strada» (Bloom 2014, traduzione mia; si veda anche Bloom 2017, Slote 2013: 25, Baron-Cohen 2011, Sen 2009, Rifkin 2009, de Waal 2009, Preston e de Waal 2002).
La tradizione filosofica cui fanno riferimento gli autori che intendono sottolineare il ruolo morale dell’empatia è il sentimentalismo di David Hume (1739-1740) e Adam Smith (1790). Sebbene questi autori parlassero di simpatia e non già di empatia (il termine non esisteva ancora in inglese) e sebbene attribuissero un ruolo meno diretto di quello che sembra implicato dai recenti recuperi del concetto (Songhorian 2020), essi sono considerati i capostipite dell’attribuzione di un ruolo morale all’empatia.
Parte del dibattito recente, d’altro canto, si è concentrata sul sottolineare come la nostra naturale tendenza a empatizzare sia soggetta a diversi limiti che la rendono una guida morale tutt’altro che perfetta (Prinz 2011a, 2011b, Bloom 2014, Bloom 2017, Fuchs 2019, Songhorian 2019).
I difficili tempi di crisi che abbiamo vissuto – e che stiamo vivendo – consentono di riflettere ulteriormente circa le potenzialità e i rischi dell’empatia.
Infatti, da un lato possiamo ricordare il senso di comunità e le storie di vicinanza e aiuto reciproco, oltre al sostegno mostrato al personale sanitario, che si sono moltiplicate in questo periodo e che possono essere sensatamente fatte risalire a una condivisione emotiva empatica. Dall’altro l’empatia, in virtù proprio di quei bias e limiti che la ricerca contemporanea sottolinea, può averci condotti a comportamenti non del tutto moralmente giustificati, sebbene psicologicamente ed emotivamente comprensibili.
In primo luogo, se è vero, infatti, come sostiene Bloom (2017: 31) che l’empatia focalizza la nostra attenzione e i nostri comportamenti di aiuto là dove li riteniamo più necessari, è altresì vero che essa è vittima del bias dell’esposizione (Bornstein e Crave-Lemley 2004) per cui riteniamo più probabile ciò a cui siamo contingentemente più esposti. Ciò non implica che sia scorretto essere attenti e pro-attivi nell’aiutare il prossimo data l’attuale situazione, ma certo va riconosciuto che le questioni moralmente rilevanti che richiedono il nostro aiuto non si limitano a quelle correlate con l’emergenza COVID-19.
E’ nota in letteratura la tendenza propria dell’empatia ad attenuarsi quando la persona che empatizza è in uno stato emotivo negativo (Qiao-Tasserit et al. 2018).
Quando siamo preoccupati o tristi, tendiamo a interessarci meno dello stato emotivo altrui e ad aiutare meno: siamo più concentrati su noi stessi. Questo chiaramente, in un periodo di forte preoccupazione per la nostra salute e per quella delle persone a noi più vicine, può aver avuto un impatto nella nostra effettiva capacità di aiutare il prossimo. Inoltre, provare un senso di somiglianza nella situazione propria e altrui, specie nel periodo di lockdown, può aver generato una mancanza di riconoscimento e di comprensione dello stato emotivo altrui (Israelashvili et al. 2020).
In situazioni stressanti, come certo è stata ed è l’attuale situazione, i nostri bias impliciti emergono con più forza (poiché rappresentano il nostro modo automatico e più primitivo di reagire al mondo circostante). Come si diceva, durante il lockdown, con le nostre interazioni sociali tipiche quantomeno limitate a una cerchia molto ristretta di persone, è naturale (sebbene non necessariamente moralmente giustificato) condividere le emozioni dei membri di questa cerchia ristretta e aiutare principalmente loro. Se è vero che questo aspetto ha senz’altro delle conseguenze positive, esso può anche condurre, in combinazione con quanto visto sopra, a una concentrazione esclusiva per gli interessi e il benessere di queste persone, dimenticando o sottovalutando situazioni ben più problematiche, seppur più lontane. Ciò non solo può aver portato a concentrare localmente la nostra beneficienza, ma può rendere almeno parzialmente conto dei disdicevoli comportamenti che, specie all’inizio dell’epidemia, si sono moltiplicati in Italia e all’estero: un’empatia ristretta alla propria comunità di appartenenza può, infatti, essere considerata parzialmente responsabile per le aggressioni sinofobe che si sono verificate in tutto il mondo (si veda, ad esempio, Foderi 2020).
Un aspetto interessante della situazione attuale in relazione all’empatia è connesso all’uso delle mascherine.
Vi è infatti un certo dibattito circa la possibilità che le mascherine, nascondendo parte delle espressioni facciali che comunemente ci informano dello stato emotivo altrui, possano inibire le nostre reazioni empatiche (Hombach 2020; Nobilo 2020).
Come si diceva, l’empatia ha certamente avuto degli effetti benefici in tempo di crisi e, tuttavia, è importante sottolinearne e comprenderne i possibili rischi proprio per tentare di mantenere ciò che di buono essa può generare al netto dei problemi che solleva (e che la situazione attuale ha reso, se possibile, più evidenti). Ciò sembra possibile evitando di affidarci solo alle nostre risposte emotive immediate e riflettendo, più pacatamente, sull’appropriatezza dei comportamenti cui l’empatia può dar luogo. Se essa di per sé non può essere una guida morale affidabile, è tuttavia certamente una risorsa centrale che, insieme alla riflessione e all’assunzione di un punto di vista più imparziale, può condurci a mantenerne gli aspetti positivi senza cadere nei suoi eccessi (Smith 1790).