Nella comunicazione quotidiana, capita spesso di sentire o dire parolacce: come nessun’altra parola, esse sono in grado di veicolare in modo rapido e diretto contenuti emotivi rilevanti, così come lo status sociale del nostro interlocutore. A fronte della loro peculiarità, sia in termini di utilizzo che di funzioni, poco si sa di come il nostro cervello le parolacce elabora. Un recente studio condotto dai ricercatori del Centro di Neurolinguistica e Psicolinguistica (CNPL) del nostro ateneo pubblicato sulla rivista Brain&Language ha indagato per la prima volta questo aspetto. In particolare, i ricercatori hanno voluto rispondere a due domande: a) il nostro cervello comprende le parolacce allo stesso modo in cui comprende le altre parole? b) Il modo in cui il cervello comprende le parolacce cambia se queste vengono prodotte nella nostra lingua o in una lingua straniera?
Il gruppo guidato dal Prof. Jubin Abutalebi, Associato di Neuropsicologia UniSR, ha condotto due esperimenti utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI), una tecnica che indaga quali regioni cerebrali sono coinvolte nel processo d’interesse grazie alla rilevazione di cambiamenti nel flusso ematico cerebrale. Nei loro esperimenti hanno presentato ai partecipanti (tutti adulti sani) delle parolacce e delle parole “normali”; in un esperimento i partecipanti erano monolingui, nell'altro esperimento erano bilingui (italiano-inglese).
Spiega il Dott. Simone Sulpizio, primo autore del lavoro e ricercatore UniSR:
“I risultati hanno mostrato che sebbene l’elaborazione delle parolacce avvenga attraverso le stesse regioni cerebrali utilizzate per le altre parole, esse vengono riconosciute più facilmente ed elaborate più efficientemente: questo vantaggio per le parolacce è probabilmente dovuto alla loro rilevanza sociale ed emotiva, che le rende riconoscibili dal nostro cervello immediatamente e senza sforzo”.
Considerando i risultati per i parlanti bilingui, invece, si è osservato che le parolacce vengono percepite come meno offensive quando presentate nella lingua straniera, rispetto a quando presentate nella propria lingua. Quando usiamo una lingua straniera, comprendere le parolacce è meno immediato e richiede il coinvolgimento di regioni cerebrali aggiuntive che ci aiutino a comprendere la rilevanza emotiva e sociale delle parole. In altre parole, dobbiamo ragionare per capire se una determinata parola è o non è socialmente appropriata.
“Questi risultati” conclude il Prof. Abutalebi “contribuiscono anche a capire meglio come le parole possono avere un impatto sui nostri interlocutori”.