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Covid-19: svelate predisposizioni genetiche e immunologiche

28 settembre 2020
Ricerca

Uno studio internazionale, a cui ha partecipato il San Raffaele, ha scoperto una predisposizione genetica e immunologica nei pazienti sani che sviluppano forme gravi di Covid-19

Più del 10% dei pazienti sani che sviluppano una forma grave di Covid-19 posseggono degli anticorpi disfunzionali che attaccano il sistema immunitario invece del virus, rendendolo meno efficace nella lotta all’infezione. Mentre il 3,5% è portatore di una mutazione genetica predisponente

In entrambi i casi il problema sembra risiedere in una ridotta funzionalità dell’interferone di tipo I, che nel primo gruppo di pazienti viene neutralizzato dagli auto-anticorpi, mentre nel secondo viene prodotto in quantità ridotte a causa della mutazione genetica.

I risultati dello studio condotto dal consorzio internazionale di ricerca

È questo il duplice risultato di una ricerca condotta dal COVID Human Genetic Effort (CovidHGE), un consorzio internazionale di ricerca che coinvolge più di 50 centri di sequenziamento e centinaia di ospedali in tutto il mondo, tra cui l’IRCCS Ospedale San Raffaele

La ricerca viene pubblicata oggi in due articoli distinti sulla prestigiosa rivista Science, uno dei quali – quello riguardante gli auto-anticorpi – vede la collaborazione fondamentale dei medici e ricercatori del San Raffaele.

I risultati suggeriscono in modo convincente che disfunzioni dell’interferone di tipo I costituiscano spesso la causa delle forme più critiche di Covid-19 - spiega Jean Laurent Casanova, a capo del laboratorio di Genetica umana delle malattie infettive presso la Rockefeller University di New York e coordinatore di entrambi gli studi -. Almeno in teoria, si tratta di disfunzioni che possono essere trattate con farmaci e approcci già esistenti.

L’approccio adottato dal consorzio ci permetterà di scavare sempre più a fondo nei meccanismi molecolari e genetici che spiegano le forme più gravi di Covid-19 e di suggerire soluzioni terapeutiche mirate per gruppi specifici di pazienti - afferma Alessandro Aiuti, vicedirettore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) e professore ordinario di Pediatria all’Università Vita-Salute San Raffaele, che è membro del comitato direttivo del consorzio. Questo è solo il primo risultato, ma è già molto promettente.

Auto-anticorpi all’origine delle forme gravi di covid-19

L’infezione da SARS-CoV-2 si manifesta con enorme variabilità: il virus può causare una malattia con sintomi lievi, in grado di risolversi autonomamente, o uccidere in pochi giorni. Cosa spiega questo fenomeno? Perché gli uomini sono più colpiti delle donne dalle forme gravi della malattia? Quali sono i meccanismi dietro il rapido aumento della mortalità al crescere dell’età anagrafica? 

Analizzando i tessuti biologici di 987 pazienti con forme gravi di Covid-19, gli scienziati del COVID Human Genetic Effort hanno scoperto che più del 10% di questi pazienti avevano in circolo auto-anticorpi contro l’interferone I, che è un ingrediente chiave della risposta immunitaria ai virus. Questi auto-anticorpi sono relativamente rari nella popolazione generale: su 1227 individui sani scelti casualmente solo 4 sono risultati positivi al test.

Nella maggior parte dei pazienti la positività a questi auto-anticorpi è stata rilevata in campioni di sangue raccolti nei primi giorni dell’infezione, ma i ricercatori ipotizzano che gli anticorpi fossero già presenti prima del contagio e costituiscano quindi un fattore predisponente per le forme gravi. In alcuni casi è stato infatti possibile verificare la presenza degli anticorpi anche in campioni di sangue antecedenti all’infezione.

Riteniamo che gli auto-anticorpi contro l’interferone possano spiegare una parte rilevante delle forme più aggressive di Covid-19 e del modo in cui queste forme si distribuiscono nella popolazione generale, ovvero colpendo maggiormente le persone di sesso maschile e di età avanzata

spiega Lorenzo Piemonti, direttore del Diabetes Research Institute dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e professore associato di Endocrinologia all’Università Vita- Salute San Raffaele, tra gli autori del lavoro -. Non a caso, dei pazienti che presentavano gli auto-anticorpi, il 95% erano uomini e più del 50% aveva più di 65 anni di età.”

Nuove strategie terapeutiche per le forme gravi di Covid-19

Il risultato ottenuto è in linea con quanto sapevamo: l’interferone è uno degli strumenti fondamentali dell’immunità innata, quella parte della risposta immunitaria che entra in funzione per prima durante un’infezione e la tiene a bada nell’attesa che l’immunità adattativa costruisca una risposta più specifica; ci sono inoltre altri esempi di malattie infettive facilitate dalla presenza di auto-anticorpi che inibiscono l’azione del sistema immunitario.

A confermare la solidità della scoperta, ci sono anche i risultati dell’altro studio pubblicato oggi su Science dal consorzio CovidHGE. In questo secondo lavoro gli scienziati hanno scoperto che un ulteriore 3,5% di pazienti con forme gravi di covid-19 sono portatori di mutazioni genetiche che impediscono la produzione o l’uso corretto dell’interferone I.

I due studi si rafforzano a vicenda e suggeriscono che intervenire per ristabilire le corrette quantità di interferone I nelle fasi iniziali dell’infezione potrebbe essere efficace contro le forme più severe di Covid-19, almeno in un gruppo selezionato di pazienti

afferma Fabio Ciceri, vicedirettore scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e professore ordinario di Ematologia all’Università Vita-Salute San Raffaele

Ed è proprio in questa direzione che va uno studio clinico in partenza presso il nostro ospedale, che testerà la somministrazione di interferone beta  (un tipo di interferone I solitamente usato per la Sclerosi Multipla o forme croniche di epatite) nei pazienti covid-19 gravi.

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